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Conosciamo Mathis dal 1996 quando venne in Italia, invitato dal WWF, a presentare per la prima volta il suo indicatore che avrebbe rivoluzionato il modo di calcolare l’impatto dell’umanità sul nostro unico pianeta. Ai tempi di Rete Lilliput, nel 2002, 2003, 2004 abbiamo organizzato tre suoi tour in Italia “Le settimane dell’impronta ecologica”. I risultati non sono mancati anche se chi li dovrebbe utilizzare per prendere scelte responsabili preferisce spesso guardare altrove. Siamo in un periodo estremamente travagliato e pericoloso per tutti dovuto principalmente alle forme patologiche della politica che stanno producendo i loro effetti. La politica è in una situazione di debolezza estrema e quindi stenta a svolgere il ruolo normativo di indirizzo in grado di contenere le spinte di quelle componenti della società che pensano unicamente al profitto. Vediamo ad esempio questa debolezza manifestarsi in  Europa, dove i politici passano come banderuole da politiche orientate al riequilibrio ambientale a politiche del riarmo, come se equivalesse a bere un caffé!

Con questa intervista abbiamo voluto parlare di un argomento poco trattato, chiedendo a Mathis cosa pensa delle spese militari. Buona lettura.

La data dell’Overshoot Day è stata anticipata di molto. come mai?

Due fattori: i dati stanno migliorando; in particolare le Nazioni Unite stanno migliorando i loro dati retroattivamente. Inoltre si è appurato che gli oceani stanno assorbendo una quantità di carbonio leggermente inferiore a quella ipotizzata in precedenza, il che rende l’Impronta ecologica più grande.

Inoltre, il consumo reale è aumentato rispetto a quello che la Terra può rinnovare. Questa componente ha fatto anticipare l’Earth Overshoot Day meno della variazione dei dati.

Tuttavia, anche se l’Earth Overshoot Day rimanesse allo stesso punto, continueremmo ad aggiungere la stessa quantità di debito ecologico supplementare al debito già esistente. (NdR consigliamo la lettura dell’articolo in italiano sull’Overshoot Day su questo sito)

Con una tale situazione di aggressione alle risorse del pianeta, ha senso pensare di destinare fondi pubblici e risorse preziose alla costruzione di armi che poi distruggono beni esistenti e utili?

È una grande domanda, con aspetti etici ma anche pratici.

Quello che possiamo osservare é che si investono ingenti risorse per chiarire cosa appartiene a chi: i contadini costruiscono recinti, i banchieri hanno contabili, le case hanno serrature, le città hanno la polizia, gli avvocati stipulano contratti, ecc.

Più le società spendono per la difesa, più dimostrano che la società manca di fiducia e si difende dalle minacce, siano esse immaginarie o reali.

L’uso della forza militare per accedere a maggiori risorse, come è accaduto e continua ad accadere, si rivela un gioco a somma negativa. E continua ad accadere per ragioni totalmente diverse, come il desiderio dei singoli leader di assicurarsi il proprio potere, ecc.

In definitiva, le società hanno bisogno di risorse naturali per funzionare e di fiducia per la collaborazione tra le persone. In molte aree del mondo, le persone stanno erodendo entrambe.

Il calcolo dell’impronta ecologica tiene conto del consumo e dell’inquinamento delle attività militari dei vari Paesi?

In un certo senso, sì, queste risorse utilizzate da un Paese fanno parte dell’impronta di consumo del Paese stesso. Tuttavia, non disponiamo di dati affidabili su quanta parte dell’Impronta ecologica complessiva dei consumi un Paese destini alle attività militari: forse è proporzionale al PIL speso per tali attività, ma questa è solo una prima approssimazione.

Gli imprenditori che pensano di fare grandi affari con la ricostruzione delle zone di guerra non stanno forse segando il ramo su cui sono seduti?

Nel complesso, Overshoot è uno schema Ponzi, per tutti coloro che vi partecipano. https://www.wackernagel.info/post/overshoot-ecological-ponzi-scheme

A questo punto, non mi sembra che la ricostruzione delle zone di guerra rappresenti una parte importante degli investimenti complessivi.

La parte più problematica, a mio avviso, è rappresentata dalle aziende che traggono profitto dalla gestione delle guerre – come nel caso della Haliburton che ha tratto vantaggio dall’invasione dell’Iraq e quindi ha incoraggiato l’invasione.

Cosa suggerisce alle associazioni e ai movimenti italiani per uscire da questa situazione?

Può sembrare troppo semplicistico. Ma per me l’essenza è la seguente: finché i Paesi non mettono la sicurezza delle risorse al centro delle loro strategie di sviluppo, si mettono in grave pericolo…

Se prendessimo sul serio la sicurezza delle risorse, riorienteremmo i nostri sforzi in modo significativo. E l’accumulo di forze militari per accedere alle risorse altrui non sarebbe una parte importante, a mio avviso, non solo perché è moralmente discutibile, ma ancor più perché semplicemente non paga.

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