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In occasione di Eirenefest, festival del libro sulla pace e la nonviolenza, Lista Civica Italiana ha intervistato Giuseppe Polistena, autore del libro” Politica, questa sconosciuta”, che verrà presentato a Roma sabato 27 maggio alle ore 17.30 presso la Casa umanista in via dei Latini 12/14. Si tratta di un libro che raccoglie il risultato di ricerche trentennali  e costituisce un grande progresso rispetto alla conoscenza della identità della politica, conoscenza che l’occidente ha bisogno di rinnovare. Il libro, nel tempo, potrà contribuire ad un grande miglioramento delle istituzioni e della capacità della politica di dare risposte alle esigenze delle persone. Potrebbe costituire la base per una inversione di tendenza rispetto alla disaffezione verso la politica; dimostra inoltre che la Politica è consustanziale con la pace e la nonviolenza.
Prof. Giuseppe Polistena, perché ha scritto questo libro? Quale complessità è insita nel concetto di “politica”?

Ho scritto questo libro come esito di una lunga ricerca sia teorica che sul campo. Le tesi sostenute vengono poste di fronte al tribunale della storia.
Il concetto di “politica” è stato oggetto di una mistificazione originaria che ha impedito di delinearne la specifica identità. Ciò è avvenuto perché questa attività umana, che nasce in un periodo preciso della storia, ha l’obiettivo primario di gestire il “potere” il quale è una realtà che fa parte da sempre della natura umana e quindi precede la nascita della politica. La politica nasce proprio quando gli esseri umani sentono l’esigenza di controllare e limitare il potere senza accettarlo passivamente come un destino. La commistione tra queste due realtà (potere e politica) ha indotto molti filosofi e studiosi di questa materia a pensare che la politica fosse identificabile con l’arte del governo ossia della gestione del potere. Al contrario la politica è nata dal basso come tentativo di contestare, controllare e limitare il potere. La confusione tra i due termini, Potere e Politica, a generato importanti conseguenze storiche e istituzionali.
In pratica l’attività politica nasce quando forze sociali, che emergono da una società evoluta, giudicano i vetusti luoghi di potere inadeguati e oppressivi, e propongono una diversa visione e organizzazione della società. Per ottenere questo, oltre a criticare il potere costituito, c’è bisogno di conquistare una dose di potere sufficiente per ottenere il cambiamento desiderato. Dalla necessità che la politica, non solo controlli il potere ma in parte sia obbligata a utilizzarlo, si è creato il fraintendimento sul rapporto fra potere e politica e sulla loro identità. I due concetti (politica e potere) sono strutturalmente eterogenei ma il loro rapporto ha permesso che la politica venisse erroneamente concepita come la semplice ricerca del potere. In realtà la politica ha un altro obiettivo: quello di controllare il potere.

1) Come si produce la “forma” politica?

Prima di tutto un brevissimo cenno sull’idea di “Forma” che è l’idea fondante della mia ricerca. Per forma intendo la struttura portante che contiene cose, persone e processi Per esempio, la monarchia assoluta è una forma all’interno della quale si collocano i singoli sovrani assoluti, i quali, anche se fossero “illuminati” non potrebbero eliminare gli aspetti negativi di quella forma.
Per produrre la forma della politica occorrono molte condizioni: occorre in primis una organizzazione civica (es. la città, lo stato ecc), caratterizzata da una differenziazione di ruoli e compiti e dall’esistenza di un perimetro individuabile. Ciò significa che la politica è una creazione storica che non possiamo trovare nel lungo periodo preistorico. Nella preistoria non c’è politica. La politica nasce nella “polis” e nasce quando si introduce un livello, anche piccolo, di “umanità” cioè di “laicità” che non sostituisce ma coesiste con l’enorme forza e pervasività della “sacralità” esistente da tempi molto più antichi. E’ infatti il “sacro” che regola la vita nella preistoria e dei popoli antichi. L’umanità si inserisce nella sacralità senza eliminarla ed è in questo processo che i popoli possono produrre la forma politica. Se tutta la vita sociale viene regolata dal sacro, la politica come attività specifica dell’umanità, non può trovare spazio. Occorre infine la produzione di una visione complessiva che osservando le differenze sociali le riconosca, cercando mediazioni tra di esse e concependo un modello complessivo per il futuro. L’ingresso, sia pure timido, del futuro nell’orizzonte della storia costituisce un’ulteriore condizione per far emergere il comportamento politico.

2) Quali sono i primi comportamenti politici che si possono riscontrare nella storia?

È possibile che molti comportamenti politici si siano sviluppati nella storia senza lasciare traccia, tuttavia se teniamo conto di due delle condizioni della politica (la polis e la componente di laicità necessaria alla produzione politica) possiamo dire che i primi comportamenti politici che conosciamo, si siano svolti in Grecia e poi a Roma. Ovviamente la materia è difficile ma noi conosciamo, ad esempio, gli eventi storici associati alla figura di Solone, il personaggio ateniese che sicuramente individuò e praticò un comportamento politico di cui ci ha lasciato una chiara traccia nelle sue opere. La politica si è sviluppata da allora ed è stata oggetto di attenzione filosofica anche se è nata senza che ci fosse consapevolezza della sua nascita e quindi senza la possibilità di un suo insegnamento. Una delle prove della mancata individuazione dell’identità della politica riguarda proprio l’insegnamento. Sebbene Platone e Aristotele avessero parlato di “Scienza Politica”, di tale scienza però non vi fu mai insegnamento, al punto che le cattedre di politica sono sorte nel XX secolo solo nelle università, mentre nelle scuole secondarie questa materia non è mai stata presente in nessuna parte del mondo. A questa grave lacuna hanno contribuito proprio i filosofi con la convinzione che la politicità fosse innata: in realtà l’uomo è un animale sociale ma non politico. Oggi è importante ricostruire e diffondere nelle società le forme culturali corrette per individuare l’identità della politica e riportarla ad una situazione fisiologica.

3) Perché ha utilizzato le parole “Tutti” e “Nessuno” come categorie politiche?

Per molto tempo si sono cercate le categorie politiche senza accordo tra gli studiosi. A differenza dell’etica o dell’estetica le cui categorie sono chiare (Bene-Male, Bello-Brutto) le categorie della politica non sono mai emerse chiaramente. Questo è stato molto grave per le istituzioni mondiali perché le categorie sono i punti di riferimento di una disciplina e la politica non le aveva. Ancora più grave è il successo novecentesco di Carl Schmitt, un importante filosofo tedesco della destra conservatrice (aderì al nazismo), che individua le categorie politiche nel binomio amico-nemico.
La mia posizione è completamente antitetica a quella di Schmitt: le categorie politiche esistono e sono “Tutti” e “Nessuno”. Esse purtroppo non sono state individuate nel percorso storico della politica. Il successo della tesi di Schmitt rivela la situazione disastrosa della politica nel novecento e spiega le due catastrofi belliche. Le categorie “Amico-Nemico” non solo non individuano il comportamento politico ma sono categorie antitetiche ad esso. Infatti la politica nasce dallo sguardo complessivo sulla società che produce una visione all’interno della quale le differenze tra le persone devono essere armonizzate e fatte coesistere attraverso mediazioni o compromessi.
Lo sguardo complessivo che fa coesistere le differenze, è guidato proprio dalla categoria “Tutti” perché questa categoria indica che la politica deve occuparsi di tutti coloro che vivono nel perimetro della polis altrimenti la politica fallirebbe. La categoria espressa dalla parola “Nessuno” implica che nessuno debba avere tanto potere da poter prevaricare sugli altri. Tutti e Nessuno sono dunque categorie intimamente connesse tra loro e sono le fonti di ciò che chiamiamo Democrazia (Tutti) e Costituzionalismo (Nessuno).

4) Che rapporto sussiste tra politica e potere?

Abbiamo visto come il potere non possa essere ritenuto un elemento costitutivo della politica perché non fa parte del suo DNA cioè delle condizioni che determinano la forma politica. La politica è nata perché qualcuno ha patito l’esercizio violento del potere e quindi è nata come controllo e limitazione del potere cioé come “costituzione”. In secondo luogo si è capito che se il potere non fosse diffuso, cioè per “tutti” non si potrebbe controllare perché qualcuno ne avrebbe di più quindi la democrazia, intesa come potere uguale per tutti, è diventata un elemento dell’identità della politica, la quale esiste se c’è controllo ed equa distribuzione del potere. Tutto questo viene sintetizzato dalle due categorie della politica che abbiamo già citato. Chiunque tenti di definire la politica a partire dal concetto di potere va fuori strada perché non individua il momento storico in cui per la prima volta gli esseri umani hanno cominciato a contestare l’enorme potere conferito dal “sacro” ad altri esseri umani (re, stregoni, capi spirituali ecc.). Quello è il momento originario in cui la politica si è prodotta. Dato che una delle sue finalità è quella di ordinare e limitare il potere, esiste tra questi due concetti una vicinanza che genera confusione. La confusione probabilmente è originata dal fatto che chi si propone di cambiare la forma organizzativa della società in cui vive ha bisogno di una dose adeguata di potere/consenso per poter ottenere/imporre il cambiamento delle forme politiche. Ecco quindi che nuove forme politiche, che hanno lo scopo di imbrigliare il potere dominante e oppressivo, nella fase iniziale sono associate a manifestazioni del potere talvolta anche violente. La politica però non c’entra col potere infatti afferma che se qualcuno avesse troppo potere sarebbe violata la categoria del “Nessuno”. Naturalmente per controllare il potere è necessario possedere la forza cioè il potere per farlo ma questo potere è speciale perché è ordinato e limitato ed è appunto il “potere politico” che esiste solo se c’è una costituzione che attua la categoria “Nessuno”.
Questa vicinanza tra politica e potere ha determinato la confusione tra i due concetti: limitare e controllare il potere richiede istituzioni e le istituzioni devono detenere la funzione ossia il potere necessario: purtroppo, sarà sempre possibile che la facoltà di gestire il potere acquisito dalla politica in un corretto processo dello sviluppo umano, si autonomizzi perdendo la sua funzione “politica” e diventando così una relazione di potere priva dei connotati che definiscono correttamente la politica. In questi casi non si dà luogo ad una politica sbagliata, semplicemente la politica svanisce, la sua forma scompare e i comportamenti a-politici (o antipolitici) che sono tendenzialmente prevalenti in seno alle varie società, prendono il sopravvento. Questa possibilità ci dice chiaramente che la politica non si identifica con le istituzioni dello stato (che possono esercitare il potere ma non possono fare politica) e che una volta prodotta non dura per sempre, essa ha infatti bisogno di controllo e manutenzione continua ed è per questo che è indispensabile ciò che ho chiamato “politicità sociale” neologismo (vedi domanda successiva) che indica gli strumenti e le modalità organizzative che permettono alla cittadinanza di partecipare alla produzione politica e di indirizzare la politicità istituzionale nell’interesse della collettività (cosa che attualmente é del tutto inesistente).

5) Nel libro lei parla di politicità istituzionale e politicità sociale. Ce le può spiegare?

Innanzi tutto ho usato un neologismo perché ho sentito l’esigenza pratica di condensare una serie di concetti e di funzioni in una locuzione. Schematicamente, possiamo individuare due tipologie di politicità che ci aiutano molto a comprendere i meccanismi coinvolti nella produzione politica.
La prima è la politicità istituzionale espletata nelle istituzioni previste dalla Costituzione, come il governo e il parlamento, in cui si assumono decisioni vincolanti per tutti. Anticamente la politicità istituzionale veniva svolta da coloro che avevano il potere concreto per farlo (in genere erano i re)
La seconda è la politicità sociale che dovrebbe essere espletata dai cittadini e dalle cittadine e si concretizza in un insieme di funzioni e azioni che agiscono in stretta correlazione tra loro. La politicità sociale non è dotata di potere decisionale e riproduce la nascita stessa della politica che come abbiamo visto è nata fuori dal potere costituito; per esistere, richiede una elevata cultura politica della società civile. Nel periodo moderno la sovranità è stata conferita proprio alla società civile ma se dentro essa c’è una debole “politicità” la sfera istituzionale prenderà il sopravvento e la situazione generale di un paese tenderà a peggiorare drammaticamente.
La “politicità sociale” in sostanza consente ai cittadini e alle cittadine di elaborare idee e visioni politiche per indirizzare e controllare la politicità istituzionale nell’interesse della collettività. La politicità sociale, quindi, si sviluppa quando la società civile dispone di spazi politici e strumenti per formarsi, confrontarsi, esprimere le proprie istanze e proposte, partecipare alla elaborazione dei programmi elettorali e alla selezione dei candidati/e alle cariche elettive, verificare e valutare l’operato degli eletti.
Oggi proprio nel mondo moderno la politicità sociale è sostanzialmente inesistente perché tutto lo spazio politico è stato occupato dal ceto che controlla le istituzioni statali. Ciò significa che non ci sono le condizioni per permettere ai cittadini e alle cittadine di poter controllare il potere e di fornire alle istituzioni le risorse più adatte al loro funzionamento.

6) Cosa è accaduto alla politica nella modernità?

Il periodo moderno presenta un grande sviluppo del comportamento politico che viene adesso studiato e praticato attraverso la straordinaria crescita del costituzionalismo e della democrazia che sono i figli legittimi della politica. Tuttavia la modernità, pur essendo andata molto avanti attraverso un’idea completamente nuova di “sovranità”, non è riuscita a individuare l’identità della politica. Questo ha comportato una gravissima conseguenza: la società non è stata capace, in generale, di “progettare” le forme istituzionali e le procedure più adatte per far sviluppare la politica. Le istituzioni politiche, quelle che devono prendere le decisioni vincolanti per tutti i membri di una società, non sono strutturate in modo da favorire lo sviluppo della politica. Le istituzioni moderne a vari livelli, non sono in grado di gestire le grandi società di massa prodotte dalla modernità stessa perché sono strutturate in modo patologico. È proprio questa carenza che ha reso possibile che il luogo del potere politico (le istituzioni) fosse occupato a vita da dittatori o da professionisti della politica senza che nessuno avesse gli strumenti intellettuali per individuare correttamente le devastanti conseguenze di questa pratica.

7) La sua visione comporta che una stessa persona fisica non possa stare contemporaneamente nei due tipi di politicità descritti.

Questo concetto è della massima importanza: se una persona fisica pretende di occupare entrambe le sfere della politicità sociale e di quella istituzionale sorge un serio problema di compatibilità di cui si dovrà discutere. Oggi in tutto il mondo le persone fisiche occupano o tendono ad occupare contemporaneamente sia la sfera istituzionale che quella sociale e questo comporta la scomparsa del partito come ente medio tra cittadinanza e istituzioni. L’incompatibilità è intuibile e va ulteriormente approfondita.

8) Quali sono gli elementi indispensabili per permettere l’esistenza della politicità sociale?

Gli elementi indispensabili sono: un sistema di informazione indipendente, una formazione civica e politica per la cittadinanza, l’esistenza di partiti e/o formazioni politiche, intesi come libere associazioni di cittadini che producono visioni e proposte politiche. I due tipi di politicità in una società ben strutturata non devono sovrapporsi ma devono confrontarsi e interagire. Nella nostra società essi sono sovrapposti e confusi e questo rende disfunzionale il sistema.

9) Quali riforme sono auspicabili per gli attuali sistemi sociali?

I miei studi che si basano sulle “Forme” e sull’introduzione delle categorie politiche Tutti e Nessuno, danno un contributo alla comprensione dell’identità della politica. Alla luce di questa scoperta dell’identità posso affermare che al giorno d’oggi essa sia sparita o stia sparendo. In questi casi le istituzioni restano con la loro mole burocratica ma diventano sistemi patologici incapaci di una reale produttività politica. Tale incapacità rende la politica sorda alle necessità basilari della cittadinanza (si pensi alle riforme che vengono rinviate da decenni) e consente ancora la guerra ovvero la modalità barbara e antipolitica che prevede la distruzione fisica della vita singola.
Per modificare i sistemi in senso politico occorre una serie di riforme legislative che riguardino in primis l’occidente che si sente riparato da questa necessità, attraverso l’equivoco connesso al termine “democrazia”: ad esempio, il mero fatto di andare a votare non è un elemento sufficiente per poter affermare che viviamo in una democrazia ben funzionante. In realtà è l’occidente l’area maggiormente responsabile dell’annullamento della politica perché pur avendo avuto la possibilità di favorire standard politici più alti non l’ha fatto per difendere i propri interessi. Ovviamente i sistemi non occidentali (Russia, Cina, mondo arabo e africano) sono in una situazione istituzionale ancora peggiore. Le riforme di cui il sistema necessiterebbe sono numerose e purtroppo molte di esse non sono né previste e nemmeno concepite.
Le elenco in modo approssimato:
A. Riforma dei partiti. Nessun sistema istituzionale può mantenere un sano livello politico in assenza di enti medi costituiti dai partiti che permettano un fisiologico sviluppo di politicità sociale. Attualmente in tutto il mondo ci sono i partiti ma non sono enti medi perché i loro rappresentanti detengono anche il potere istituzionale. L’assenza degli enti medi crea la società duale rappresentata dal binomio cittadini/stato sogno di molte persone che temono gli enti medi. In realtà senza enti medi partitici non è possibile produrre politica perché mancherà una delle componenti fondamentali della politicità sociale. A questo scopo è necessaria una grande campagna di informazione e di pressione per liberare la politicità sociale dall’indebita invasione da parte della politicità istituzionale.

B. Riforma delle modalità di fare politica. È incompatibile con la politica la detenzione di un potere istituzionale permanente sia sotto forma di persone fisiche che sotto forma di gruppi di politici di professione che passano da un’istituzione all’altra. Occorre introdurre il concetto forte di “Ritorno alla vita civile” che sostituisca quello debole e non praticato di “rotazione delle cariche” o “limitazione dei mandati istituzionali”, che anche se fosse praticato non potrebbe funzionare.

C. Riforma della scuola e dell’informazione. Nelle attuali società di massa è necessario che la scuola si doti di un programma di educazione alla politica per ogni ordine e grado di insegnamento e che i sistemi informativi sviluppino informazione politica libera senza scadere nella partigianeria politica, cosa che non avviene in alcuna parte del mondo. Per permettere alla cittadinanza di potersi formare liberamente una opinione, occorrerebbe inoltre creare una pluralità di “canali informativi” indipendenti diretti da giornalisti scelti per sorteggio, con un mandato limitato nel tempo e liberi nelle decisioni.

10) E’ diffusa l’opinione che le multinazionali e la finanza hanno preso il predominio sulla politica. Cosa pensa in proposito: la politica ha “perso”?

La finanza ha un’influenza enorme sulle istituzioni politiche e ad alcuni livelli riesce a controllarle, ma questo avviene perché quasi ovunque le istituzioni politiche sono patologiche perché si è frainteso il ruolo e l’identità della politica. Bisogna poi considerare che le istituzioni politiche sono i titolari formali del potere per cui esse vengono controllate indirettamente. Se le istituzioni tornassero a fare realmente politica il potere della finanza sarebbe ordinato e in definitiva domato. Ma così non è. Tutti sanno che le grandi corporation influenzano la politica ma in generale la cittadinanza non ha gli strumenti culturali per individuare il meccanismo che genera questo fenomeno. Per chiudere direi che chi combatte per una umanizzazione dell’economia dovrebbe fare una riflessione sulle proprie priorità: fino a quanto la politica non viene strutturata meglio, la finanza avrà le mani libere.

11) Se la cittadinanza disponesse di più strumenti di democrazia diretta la politica tornerebbe a funzionare correttamente?

Più strumenti di democrazia diretta sono auspicabili perché aumentano la possibilità di partecipazione della cittadinanza però non sono sufficienti per il fisiologico funzionamento della politica. La democrazia diretta diventa infatti uno specchio per allodole in una società in cui l’informazione e la conseguente capacità di influenzare le scelte è in mano a pochi centri di potere. In altre parole per far prosperare la politica, la democrazia è una condizione necessaria ma non sufficiente.

12) Il suo libro parla del potere sacro e del fatto che impedisce lo sviluppo della politica. Si può conciliare la fede con la politica?

La fede deve essere collocata nella sfera privata dove assume valore e legittimità. Se i precetti di fede vogliono avere rilievo politico succederà necessariamente quello che accadeva in Italia alcuni secoli fa e che accade in Iran adesso. Ogni fede veicola un’idea forte di verità per questo è incompatibile con la politica. Nel mio libro spiego che la politica nasce superando la sacralità e considerando non indispensabile l’idea di verità.

13) Che rapporto sussiste tra la sua visione di politica e la pace?

La politica, proprio perché poggia sulle categorie Tutti e Nessuno, contiene la pace come elemento consustanziale mentre la guerra non è la continuazione della politica come diceva Von Clausevitz e come spesso si afferma, ma la sua negazione. La guerra è stata il modo normale di risolvere i conflitti prima che la politica facesse la sua comparsa nella storia: se ci sono ancora le guerre è perché stiamo ancora adottando una forma vecchissima ed errata di politica. La politica “autentica” dunque è portatrice di pace ma questo non è stato né compreso né accettato.

14) Le scoperte circa l’identità della politica e la conseguente impossibilità di fare della politica il “lavoro della vita” portano ad una rivoluzione dell’organizzazione dello stato. Cosa pensa in merito?

La coscienza dell’identità della politica obbligherebbe le istituzioni dei vari stati e le persone fisiche che fanno parte di queste istituzioni ad una trasformazione che risulta difficile perché implica la cessione di porzioni importanti di potere e la fine del “lavoro di politico a vita”. Ci sono dunque forti interessi a mantenere lo status quo anche se tutti si rendono conto delle difficoltà che l’ordine costituito, cioè le forme in vigore, comporta.
Senza affrontare questo nodo che richiede coraggio e disposizione al reale cambiamento, la politica resterà ad un livello patologico e non potrà svolgere il suo essenziale scopo che è quello, grazie alla politicità sociale, di indirizzare la politicità istituzionale partecipando così alla definizione delle scelte della comunità nazionale.

15) Se lo “stato” volesse favorire la politicità sociale attualmente asfittica, cosa dovrebbe fare?

Lo stato rappresenta la politicità istituzionale e tende, per natura ad assorbire la politica al proprio interno. In situazioni storiche eccezionali uomini di stato che si sono formati nella sfera della politicità sociale (penso ad esempio al CNL durante la seconda guerra mondiale) potrebbero favorire leggi nella direzione dei tre settori cruciali che sono la stampa, la scuola e il partito.
È possibile pensare a molte leggi che consentirebbero lo sviluppo della politicità sociale. In sostanza si può pensare ad una rivoluzione delle modalità di fare politica per cui i cittadini e le cittadine che dimostrassero di volersi impegnare seriamente in questo campo potrebbero avere dallo stato un appoggio che si concretizzerebbe in: uffici con spazi per fare riunioni, funzionari retribuiti dallo stato per supportare le attività di routine (es. indire una riunione, recuperare documentazione ecc.), attrezzature per fare comizi, teatri a prezzo agevolato per fare incontri, facilitazioni per la stampa di volantini e materiale pubblicitario. Come si vede il tutto è ben diverso dall’attuale finanziamento pubblico ai partiti.

16) Cosa possono fare le singole persone, le associazioni, le liste civiche locali per sviluppare la politicità sociale ?

Prendere coscienza dei meccanismi che si determinano in assenza di politicità sociale e comprendere che senza un livello accettabile di politicità sociale non è possibile una politica democratica. Le singole persone e associazioni producono politicità sociale quando interagiscono con la politica in modo non occasionale e quando concepiscono riforme delle istituzioni che favoriscano la politica. Un’altra cosa importante che potrebbero fare è dare vita a reti trasversali e paritetiche come la Rete per la politicità sociale per la promozione di queste nuove idee. Se chi vuol migliorare la situazione sociale, ambientale e economica non si pone il problema della situazione patologica della politica, si autocondanna in eterno a lavorare per mettere pezze ai disastri generati dalla cattiva politica senza mai andare alla radice del problema.

Giuseppe Polistena si è laureato in Filosofia a Messina e ha insegnato per molti anni a Milano, dove nel 1981 ha fondato la rivista filosofico-letteraria “Malvagia”. Ha partecipato alla formazione del partito verde ricoprendo la carica di coordinatore nazionale e di portavoce regionale. Uscito dal partito dopo l’eliminazione delle regole statutarie degli esordi che lo rendevano un arcipelago reale, da sempre interessato ai rapporti tra la teoresi e la dimensione politica, ha seguito un percorso di indagine filosofica che si è sviluppato per un quarantennio, concludendosi col testo Diacronia (2016), che si propone come programma di ricerca teoretica e politica. Dal successivo studio è nato il libro “Politica, questa sconosciuta” 2022 Mimesis edizioni. Ha dato vita a vari gruppi di impegno culturale e civile tra cui il gruppo di studio “www.formeeriforme.it”. Giuseppe Polistena é stato Preside del Civico Liceo “Manzoni” di Milano per molti anni, adesso guida la Mile School sempre a Milano.

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